Nuova storia (non più) in cantiere

Eh, cari lettori saltuari, di questo passo si pubblicherà ben poco nei prossimi mesi: la sessione estiva di esami incombe. Ma non disperate! Grazie a una editor d'eccezione ben presto potrebbe arrivare un nuovo racconto...

La (non tanto vera) storia di William Told

Ebbene sì, so che vi avevo promesso un "Edimburgo, Natale '33" ma, come si suol dire, "la coerenza è il trastullo delle menti semplici."
In realtà durante le vacanze ho avuto modo di mettere le mani su uno dei ricordi cardine della mia infanzia: la raccolta completa del mitico Raccontastorie (e chi non lo conosce, vada a cercarselo su wikipedia). Tra le tante fiabe antiche e moderne, quella che più mi ha appassionato (in effetti, la seconda, ma portate pazienza...) era, ed è tutt'ora, senz'altro quella del prode Guglielmo Tell, del malvagio Conte Gessler e del figlioletto senza nome (cui il buon Van De Sfroos, tanto per cambiare, ha dedicato una canzone che consiglio a tutti per entrare nello spirito giusto). Affascinato a tal punto, in effetti, che non ho potuto fare a meno di dedicarne una revisione moderna, la storia appunto del nostro Willy, riveduta e corretta e ambientata (stranamente) in Irlanda.
Un paio di precisazioni, come sempre, prima di lasciarvi all'ottima lettura. Tutti i fatti sono inventati nella misura in cui lo sono quelli della leggenda di Guglielmo Tell, cui l'intera storia fa riferimento esplicito (non avendo trovato un detentore dei diritti, spero che il popolo svizzero non me ne voglia). L'intera vicenda è narrata volutamente con un tono 'fiabesco' decisamente sopra le righe, peraltro divertentissimo alla scrittura, e spero altrettanto alla lettura. Sopra le righe sono allo stesso modo i dialoghi, il dipanarsi della vicenda (dubito seriamente che un drappello di rudi soldati scoto-britannici possa in qualche modo essere eliminato da una relativamente innocua torbiera irlandese, nè mi risulta che nei pressi di Athenry qualcuno sia mai scomparso in questo modo) e ovviamente i personaggi.
In particolare, pur non essendo io il fan numero uno della Corona e dell'Inghilterra, nemmeno nel mio delirio immagino che gli ufficiali britannici siano in qualche modo riferibili al malvagio Capitano Kellerman, che è come è solo perché assolve all'ingrato, ma fondamentale, compito di cattivo dell'intera vicenda.
Ci tengo a dire anche che mi è dispiaciuto parecchio non dare un nome alla bella fanciulla amante di Willy, ma per amor di coerenza, se il figlio del Guglielmo Tell avesse mai avuto un nome, a me non è dato conoscerlo.
Come al solito, non ho resistito alla tentazione di inserire qua e là qualche citazione musicale che sfido chiunque a rintracciare (non perché sottovaluti l'amore dei miei lettori per la musica, ma allo stesso tempo non sopravvaluto la popolarità delle canzoni che ascolto io).
Non mi resta che augurarvi buona lettura, e spero presto di regalarvi altri lavori (esami permettendo).

La storia di William Told


La pioggia batte sui vetri. Il fuoco arde nel camino e la birra si vuota nei boccali. Nel salone poco illuminato, tra i tavoli di legno consumati, è ancora presto. Troppo poco alcol è scivolato giù dal becco delle spillatrici, troppi pochi giovani senza speranze hanno varcato la soglia. È ancora presto per le canzoni improvvisate e le risse per futili motivi, le vanterie e i discorsi senza senso.
Presto, ma non per una storia.
Il vecchio siede nell’angolo più buio, là dove l’odore di bruciato della legna si confonde col whisky nel suo bicchiere.
Non è un uomo particolarmente bello, né simpatico o loquace. La maggior parte del tempo se ne sta per i fatti suoi, senza parlare, senza nemmeno alzare lo sguardo, dimentico del mondo. Perso nei suoi pensieri, e nelle increspature nel bicchiere davanti a sé.
Se ti avvicini, però, se ne hai il coraggio, potrebbe accadere qualcosa di strano.
Se gli siedi accanto, se lo saluti senza mancar di rispetto, se gli offri qualcosa senza farlo sentire un accattone, potrebbe accadere qualcosa di folle.
Se lo stai a sentire, potrebbe anche raccontarti una storia.
Lui ne conosce tante. Storie guerra e d’amore, di tempi andati che non torneranno, di quando il mondo era più semplice. Quando non tutte le cause erano sbagliate, e non tutti gli eroi avevano dei lati oscuri.
Questa sera, saresti fortunato.
Questa sera, ascolteresti la storia di William Told.

“L’anno era il 1921, e la verde Irlanda rossa di sangue.
La Guerra Civile era dietro l’angolo, la Guerra di Liberazione aveva raggiunto il culmine della violenza. L’ira di Michael Collins colpiva gli inglesi senza pietà, tendeva imboscate alle pattuglie e assassinava gli ufficiali della milizia ad ogni occasione.
Gli inglesi, del resto, non erano da meno. Schiacciavano l’Irlanda sotto uno stivale dai tacchi d’acciaio, sguinzagliando i black and tans, i cani rabbiosi delle milizie territoriali, per città e campagne, a stuprare le sue figlie e picchiare a sangue i suoi figli.
Nella Contea di Galway, nei pressi della cittadina di Athenry, viveva un giovane, di nome William Told.
Egli aveva combattuto per l’Inghilterra durante la Grande Guerra. Aveva visto l’inferno delle trincee sulla Somme, dove la morte giungeva rapida con il fischio della granata d’artiglieria e il secco crepitare della mitraglia, dove un’intera generazione fu macellata e dannata, e dove ragazzi appena diciottenni combattevano e morivano affogando nel fango e tra i cadaveri di quanti li avevano preceduti.
William era bravo con il fucile. Anzi, era veramente un ottimo tiratore, anche perché suo padre gli aveva messo in mano un’arma e insegnato a sparare prima ancora che imparasse a camminare. I cecchini tedeschi lo temevano, e i fanti del suo plotone lo amavano, dato che era sempre lui, quando veniva il momento, a porre fine alle sofferenze di quelli che restavano intrappolati nei reticolati del filo spinato.
Per questo egli odiava l’Inghilterra, per averlo costretto a orrori che non lo avrebbero mai abbandonato, ad assistere a, e in certi casi compiere, cose terribili.
Dalla Somme e dalla Guerra William era tornato da eroe decorato. Il suo migliore amico, invece, era tornato avvolto in una bandiera, fasciato ben stretto, perché sembrasse ancora intero.
Nel Galway, il coraggio, le imprese e l’abilità col fucile avevano reso a William una certa fama. Più volte le milizie dell’ira avevano provato a coinvolgerlo nella loro lotta contro lo straniero, ma lui si era sempre rifiutato. Aveva già ucciso troppi uomini, diceva, e la sua anima era dannata oltre ogni speranza di redenzione. Non voleva altre vite sulla coscienza. Nemmeno quelle degli inglesi.
Ad Athenry, però, era di stanza un piccolo presidio inglese, agli ordini di un certo capitano Kellerman. Costui era un ufficiale di carriera, spietato e crudele. Anch’egli aveva combattuto sulla Somme, ma dalle retrovie. Conosceva bene il valore di William, e lo temeva, perché sapeva del suo coraggio e del suo disprezzo nei confronti dell’Inghilterra.
Per questo motivo William si era ritirato in un piccolo cottage di campagna, lontano da tutto e da tutti, ma soprattutto dalla guerra e dalla violenza. Lì viveva tranquillamente, badando ai fatti suoi e impugnando il fucile solo più per la caccia. Poteva passare giorni interi a vagare sulla brughiera, passando attraverso le insidiose torbiere per sentieri che solo lui conosceva.
Sebbene preferisse evitare la città, di tanto in tanto il giovane si recava ad Athenry per fare acquisti all’emporio, e per incontrare la bella figlia del proprietario. Dalla Baia di Bantry al lungomare di Derry nell’Ulster e da Galway alla città di Dublino, William non aveva mai visto una fanciulla più bella, dai capelli fulvi come oro rosso e gli occhi azzurri come il cielo dopo il temporale. L’amava più della sua vita stessa, e sperava un giorno, quando la guerra fosse finalmente finita, di prenderla in sposa.
Accadde un pomeriggio che William e la fanciulla passeggiassero mano nella mano per le vie di Athenry, quando in una piazza videro garrire lo stendardo del Lord Reggente d’Irlanda. Al pensiero del suo migliore amico, morto in Francia per una guerra non sua e mai più tornato, il giovane fu colto dalla furia e con spregio sputò alla volta del vessillo.
Immediatamente sentì delle mani forti afferrarlo e trascinarlo via. Un gruppo di soldati inglesi, riconosciutolo, non si erano lasciati sfuggire il pretesto di catturarlo. “Ha sputato sullo stendardo del viceré! Al capitano, lui e la ragazza!”
Egli era un ragazzo robusto, e non privo di spirito combattivo, ma i soldati erano troppi, e a calci, pugni e strattoni lo trascinarono al cospetto di Kellerman.
“Il celebre William Told. Quale onore per un umile ufficiale di Sua Maestà.” Sorrise compiaciuto il capitano quando il giovane, pesto e sanguinante, venne gettato ai suoi piedi. “Mi si dice che hai mancato di rispetto allo stendardo personale del nostro amato viceré. Per un reato del genere dovrei sbatterti in prigione, farti deportare, come minimo. Se non peggio.”
William, per tutta risposta, alzò il mento con orgoglio e non disse nulla. Kellerman, irritato da tale contegno, continuò a minacciarlo.
“Potrei dare l’ordine di impiccarti a un albero, per esempio, e nessuno oserebbe muovere un dito per impedirmelo.”
William, però, continuava a tacere. Kellerman allora posò lo sguardo sulla bella ragazza che i suoi uomini avevano portato con loro, e un pensiero malvagio attraversò la sua mente.
“Ma quali orribili discorsi sono questi, da farsi in presenza di una tanto graziosa signorina. Mi dica, mia cara, ho sentito tanto parlare delle doti di tiratore del nostro William qui presente. Le chiedo in confidenza, lei che lo conosce tanto bene, è veramente un cecchino all’altezza della sua fama?”
La ragazza, terrorizzata, mormorò timorosamente il suo assenso.
Il sorriso di Kellerman si allargò.
“Che fortunata coincidenza, allora! Dovete sapere che, in effetti, anch’io sono un cecchino, formalmente addestrato presso la scuola di tiro dell’Esercito di Sua Maestà, a differenza di questo pezzente. Proprio oggi mi è arrivato dall’Inghilterra un nuovo fucile di precisione ordinato tempo fa, e ancora deve essere provato. Dimmi un po’, William, pensi di essere in grado di colpire un’albicocca da duecento metri di distanza?”
Il giovane, dopo un attimo di titubanza, rispose di sì.
“Suppongo però che uno zotico come te non conosca storia di Guglielmo Tell, dico bene?”
“Figuratevi che la conosca, Kellerman.” Disse William, che ormai temeva di aver capito cosa il capitano avesse in mente.
“Davvero? Allora diciamo che, se riuscirai a colpire un’albicocca da trecento metri, io dimenticherò il tuo affronto al viceré. In caso contrario... beh, speriamo tutti che tu colpisca il bersaglio. Questa graziosa signorina ha un viso troppo bello per essere rovinato da un foro di proiettile, non trovi?”
Kellerman rise vedendo William impallidire mentre la ragazza veniva legata a un vecchio platano infondo a un campo fuori città. Lei però non oppose resistenza, anzi andò con i soldati a testa alta, e nel separarsi da William semplicemente gli sussurrò: “Ti amo. Non sbaglierai.”
Il fucile di precisione venne portato, assieme ad un solo proiettile. Kellerman stesso poggiò l’albicocca sul capo della giovane, e poi andò al fianco di William, sfregandosi le mani di fronte al dramma che andava compiendosi.
William con tutta calma caricò il fucile, armò, infilò il braccio nella correggia e avvicinò l’occhio al mirino.
Soffiava un vento leggero, accarezzando l’erba del campo. Oltre a quello non si udiva nessun rumore per la campagna.
La ragazza rimase assolutamente immobile. In lontananza vide William prepararsi a sparare. Trattenne il fiato ma non chiuse gli occhi.
Crack!
Il secco scatto dello sparo risuonò sui verdi campi e sulle colline. Subito dopo di udì un tonfo sordo, come di un cranio umano che si spacca.
Ma era solamente l’albicocca, frantumata dal proiettile in un centro perfetto.
Kellerman stringeva i pugni dalla rabbia, mentre i suoi soldati liberavano la ragazza e strappavano il fucile di mano a William.
Il giovane incrociò il suo sguardo, e in tono gelido gli disse: “Oggi mi sono prestato al vostro gioco perverso, capitano. Vi consiglio solamente di fare attenzione. La storia di Guglielmo Tell non aveva un bel finale. Non per lo straniero.”
Tanto bastò a Kellerman. “Non ho intenzione di farmi minacciare da un porco irlandese. Sergente! Prendete questo sacco di letame e portatelo alla torbiera. Sparategli, gettatevelo dentro e lasciatelo lì a marcire.”
La ragazza, vedendo i soldati che trascinavano via William, si spaventò e iniziò a urlare di lasciarlo andare.
“Stai tranquilla!” Le gridò in risposta il giovane. “Andrà tutto bene! Torna da tuo padre adesso, verrò io a cercarti!”
Gli inglesi condussero William nella brughiera, lontano dai campi coltivati, tra le tristi e desolate torbiere. Dovevano fare una grande attenzione, però, poiché in quel terreno infido e paludoso uomini e bestie potevano rimanere intrappolati, e morire di freddo e di stenti se nessuno li aiutava ad uscirne.
D’un tratto si alzò una nebbia fitta, quale da tempo non se ne vedeva in quelle zone. La caligine inghiottì ogni cosa, finché divenne impossibile vedere a più di mezzo metro dal naso. I soldati iniziarono ad agitarsi, perché il sole presto sarebbe tramontato, e con quella foschia avrebbero potuto perdere la strada, e spingersi in una torbiera fino a rimanerne intrappolati.
“William Told conosce questi posti come le sue tasche.” Disse il sergente. “Il prigioniero ci guiderà lungo la strada sicura!”
William acconsentì, e ordinò ai soldati di seguirlo. Con nebbia, pioggia o sole, per lui era impossibile perdersi nella sua terra. Condusse i soldati sempre più a fondo nella torbiera, e quando fu sicuro che non sarebbero più riusciti a ritrovare la strada, scappò via, lesto come una volpe inseguita dai levrieri, e scomparve nella nebbia.
Disperati, gli inglesi provarono prima a seguirlo, e poi a trovare da soli il sentiero, ma rimasero invischiati nella torba e, non riuscendo a uscirne, morirono per il freddo quella notte stessa.
William, invece, tornò a casa senza problemi, e ben presto per tutta la Contea si sparse la voce della pattuglia inglese che si era addentrata nella nebbia con un prigioniero, per non uscirne più.
Kellerman, terrorizzato, dapprima chiese rinforzi e poi una sera fuggì in macchina, diretto ad est, preferendo affrontare l’accusa di diserzione che la vendetta di William Told.
Il giovane, però, era sulla strada ad aspettarlo. Aveva deciso di tornare a combattere, per amore dell’Irlanda e soprattutto per amore di una donna. Per la prima volta dopo anni, tornò ad uccidere: il suo colpo raggiunse Kellerman al cuore, al volante della sua automobile.
Ma quello era solo l’inizio.
Ben presto l’Irlanda avrebbe ottenuto a caro prezzo la libertà che tanto agognava, ma la lotta sarebbe andata avanti per anni ed anni ancora. Col tempo la gente smise di raccontare la storia di William Told, e la dimenticò, ma lui non ci badava.
Aveva ottenuto tutto ciò che desiderava: una vita di pace con la donna che amava al suo fianco.”

Il luogo dietro ai luoghi: chiarimenti e citazioni

Il luogo dietro ai luoghi è un racconto abbastanza atipico, per essere scritto da me, nel senso che nessuno uccide nessuno e non viene citato il SAS britannico (se mi seguirete, scoprire che è un caso più unico che raro).
Sono particolarmente affezionato a questa storia per la sua genesi. Venne pensata e scritta in un tempo relativamente breve, tre giorni, i tre giorni precedenti l'inizio della mia carriera universitaria, per l'appunto.
La storia, per quelli che non hanno voglia di leggersela tutta, è quella di Riccardo, un viandante del post-apocalisse. Il mondo è finito, infatti, prima ancora che il racconto cominci. Non ci sono state estinzioni di massa, meteoriti o invasioni di zombi, non questa volta, per lo meno. Semplicemente, "l'umanità ha fallito", ha perso tutto quello che aveva, e può solo ricominciare da capo, sperando in qualcosa di più. In mezzo a questo scenario deprimente sotto certi versi, e incoraggiante sotto altri, si muovono Riccardo e i suoi amici, tutti viaggiatori. Una persona molto saggia che lesse una versione preliminare dell'opera si soffermò su questo punto: chi sono, i viaggiatori, e cosa fanno di speciale? La risposta è tanto semplice da sconfinare nell'ovvio: viaggiano. Ciò che li rende una categoria a parte, che li separa dal resto del mondo, e che viaggiano senza andare da nessuna parte. Non hanno una meta, o meglio, la meta per loro è il viaggio in sé.
"Dobbiamo andare. Non mi importa dove, ma dobbiamo andare." scrisse qualcuno di molto più famoso del sottoscritto. Non so se si adatti esattamente alla mia categoria di viaggiatori, ma in un certo senso rende bene l'idea. Questo rende Ricky e i suoi compagni tanto strani. Non solo non hanno un traguardo, ma nemmeno gliene importa, anzi, ne sono pure felici.
Non tutti sono così fortunati da avere un obbiettivo nella vita.
Non tutti sono disposti a definirla una fortuna, però.

I più accorti tra i lettori potranno notare che ho inserito citazioni musicali qua e là. Questo è abbastanza normale. Adoro la musica e non resisto quasi alla tentazione di omaggiare i miei autori preferiti.
Il titolo è preso da "Dove non basta il mare", di Davide Bernasconi, in arte Davide Van De Sfroos, come il discorso finale di Ben.
Le altre canzoni citate, in ordine di apparizione, sono:
La canzone di Marinella, Fabrizio de André
Il pescatore, Fabrizio de André
Between a man and a woman, Flogging Molly
Ghost Rider, Johnny Cash
Fields of Athenry, Pete St. John (anche se scrivendo in testa avevo la versione dei Dropkick Murphys)
Farewell to Nova Scotia, tradizionale della Nuova Scozia (versione dei Real McKenzies)

Il luogo dietro ai luoghi

Il vento stormisce tra le foglie. I raggi del sole filtrati dai rami gettano macchie di luce sui pezzi della scacchiera.
Due uomini sono in cima alla collina che domina la valle. Siedono su massi attorno al tavolino di legno. Non c’è null’altro, sulla collina, tranne l’albero che svetta sopra di loro. Nemmeno un rumore turba la quiete perfetta del tardo pomeriggio.
Quello alto ha il mento appoggiato alla mano. Ha i capelli chiari, ricci, il volto cosparso di efelidi. Porta una custodia di chitarra a tracolla sulla schiena. Prende una decisione. Sposta il cavallo dietro ai suoi pedoni.
L’altro, capelli scuri, lo sguardo triste, pensoso, muove la torre in avanti con una mano coperta da un guanto senza dita.
“Matto in tre mosse.” Dichiara.
Il suo avversario apre bocca. La richiude. Studia i pezzi. Abbassa il capo. Da un colpetto al re bianco facendolo cadere disteso. “Di nuovo.”
“Che cosa ho vinto questa volta?”
“Non abbiamo puntato nulla.”
“Voglio l’anima di Jock.”
L’altro si stringe nelle spalle. Afferra un soldato di plastica verde legato alla cintura con un filo di spago. Lo stacca. “Tutta tua.” Lo lancia al vincitore.
“Sai una cosa, Ben?” Chiede quello, afferrandolo al volo.
“Cosa, Riccardo?”
“Mi chiedo, come faremo ad accorgerci di essere impazziti, se il resto del mondo lo ha già fatto prima di noi?”
“Quello sarebbe un bel problema.”
Il vento continua a soffiare. Ben siede sulla sua pietra. Estrae la chitarra. Riccardo ripone gli scacchi nella loro scatola.
“Se cantassi una canzone?”
“Non so se mi piacerebbe.”
“Ti piacerà. Sarà di un cantautore italiano.”
Nell’aria risuonano i primi accordi.
“Questa è la storia vera di Marinella
Che scivolò dal fiume su una stella.”
Riccardo infila la scacchiera in un grosso zaino militare. Chiude le cinghie e se lo carica in spalla. Il fucile tintinna appena.
“Non erano queste le parole.”
Ben blocca le corde con la mano. “È un’altra versione.”
“Quale?”
“La mia.”
“Allora, ragazzi, avete finito con i vostri giochi?”
I due alzano lo sguardo. Lynn si lascia cadere a terra dal ramo su cui è stata appollaiata negli ultimi minuti. Una ragazza alta, bella, atletica. Stringe saldamente il fucile di precisione dall’impugnatura di legno sagomata. Negli occhi azzurri ha una lacrima, sulle labbra un mezzo sorriso. “Chi ha vinto questa volta?”
“Riccardo.” Ben guarda l’orizzonte e suona. “Vince sempre lui.”
“Forse dovrei cambiare avversario. Forse dovrei giocare con te, qualche volta.”
“Con me?” Lynn si butta il fucile alle spalle. “Non sono il tipo. Chiedilo a Chloe.”
“Non accetterebbe.”
“Hai solo paura che ti batterebbe.”
“Non ho paura. Ne sono certo. Chloe è intelligente in un modo in cui io non saprò mai essere.”
Ben guarda Lynn. Abbassa il capo. Suona un accordo a vuoto.
“Soldati.” Mormora la ragazza. Indica il fondo della valle.
Uomini in fila, venti, trenta, a piedi. Hanno i giubbotti sgualciti e le scarpe rotte. In spalla portano fucili spaiati, alla cintura spade e coltelli. Li precedono uomini a cavallo. Pochi. Alti, orgogliosi, le uniformi pulite e ordinate. Li guidano avanti, verso le alture, verso la morte e la gloria.
“Inglesi.” Dice Ben.
“Che vanno ad ammazzare francesi.” Aggiunge Lynn.
“O forse scozzesi.” Mormora Riccardo. “Che forse vanno solo a morire.” Piano, troppo piano per sperare che gli altri lo sentano.
Lynn guarda Ben. Si morde le labbra. Ben distoglie lo sguardo.
Dall’altra parte della valle avanza un’altra colonna, più numerosa, forse un centinaio di persone. Uomini, donne, qualche bambino. In molti non riescono ad avanzare da soli, devono essere sospinti. Hanno i vestiti sporchi e le scarpe infangate di chi ha camminato molto, ma nello stato buono di chi deve ancora fare tanta strada. Camminano a testa alta, gli occhi rivolti in avanti, occhi accesi dalla speranza.
“E loro?”
“Civili.” Lynn non sorride più. “Inglesi anche loro, o scozzesi, o da chissà dove.”
“Vengono dalla linea del fronte.”
“Probabile. Li mandano nelle retrovie. Guarda come sorridono! Chissà cosa credono?”
“Non credono in nulla.” Il tono di Riccardo è sicuro. Il tono di Riccardo è sempre sicuro. Sa quello che dice. “La loro sola certezza è che quanto possedevano ormai non c’è più. È rimasta loro la speranza di trovare qualcos’altro, più avanti."
Nessuno ribatte. Riccardo ghigna, senza gioia. “Juan direbbe che la loro è soltanto un’illusione. Il primo passo verso la delusione.”
“Chi è Juan?” Domanda Ben.
“Uno come noi, un viaggiatore. Per un certo tratto è accaduto che i nostri cammini si siano incrociati. Almeno per un po’.”
“E poi?”
“Non ha più voluto viaggiare. Non con me. Forse in assoluto.”
“Arriva Ian.”
Lynn non sta dando retta ai suoi due compagni. Guarda il fianco della collina.
Un giovane si sta inerpicando. Non è alto, ma ha spalle larghe e gambe robuste. Indossa abiti militari raffazzonati, da una decina di eserciti diversi. Imbraccia un fucile d’assalto. Dalla spalla sinistra spunta l’impugnatura di una spada bastarda. La sua guancia scavata è segnata da cicatrici. Il sudore cala dai suoi riccioli rossicci e vela gli occhi castani. Sorride, un sorriso pieno, caldo, felice.
“Ragazzi, venite! Tutto a posto, stasera si dorme in paese!”
Guarda verso Lynn. I suoi occhi lampeggiano. Lei arrossisce.
“Dove sono gli altri?”
“Vas è giù a tenere banco. Una vecchia aveva ammazzato il suo ultimo gatto. Vas l’ha vista mentre lo scuoiava e ha detto che ne avrebbe potuto fare un’ottima zuppa per tutto il villaggio. Quelli ci hanno creduto, e per fortuna! Ne ho tenuti da parte tre piatti per voi. Andiamo, dai.”
“Aspetta.” Lynn fa cenno di avvicinarsi. “Guarda là.”
“Soldati...” Mormora Ian a denti stretti.
“Così pare.”
Riccardo lo guarda stringere il fucile, vede le nocche diventare bianche. Ian è un soldato a sua volta, un mercenario. Lo è sempre stato. Forse, un giorno non troppo lontano, tornerà ad esserlo.
“Dove staranno andando?” Chiede.
“Da qualche parte.” Risponde Lynn. “Immagino sia sufficiente.”
“Già.” Ian non allenta la presa. “Sì, credo anch’io.” Non distoglie lo sguardo finché la colonna non lascia la valle.
Riccardo li osserva. Riccardo sa. E quello che sa un po’ gli fa male. “Vieni, Ben.” Poggia la mano sulla spalla dell'amico, Ben, il vecchio Ben, Ben che è sempre stato lì, anche quando gli altri non c'erano. “Lasciamoli soli. Per un momento. Iniziamo ad andare. Ci raggiungeranno.”
Ben non discute. Annuisce. In fondo, anche lui ha capito.
Il sole scende a lambire le colline. Il mondo si tinge di un colore vermiglio. L’ultima luce bacia i quattro giovani sulla collina prima che le tenebre avvolgano tutto.
Per la valle, risuonano poche parole, accompagnate da un suono di chitarra.
“All’ombra dell’ultimo sole...”

Il villaggio è piccolo, vuoto, scarnificato. In un’altro tempo deve essere stato un posto migliore. Alcune case sono ridotte a rovine, i mattoni rimossi per rinforzare quelle rimaste in piedi. Sacrificate perché i più andassero avanti, pensa Riccardo. Gli abitanti sono pochi, occhi scavati, sguardi ostili. Troppo pochi per un paese di quelle dimensioni. Troppe case dalle porte vuote, troppe finestre come occhi ciechi. Dove sono gli altri? Forse anche loro sacrificati perché i più andassero avanti. I più hanno apprezzato. Gli altri non sono rimasti per esporre le proprie lamentele.
Ben si guarda attorno. La mano destra stringe più forte la tracolla della chitarra. “Meno male che era tutto risolto...” La sinistra sfiora piano, con gentilezza, il manico della pistola.
Riccardo è tranquillo. Riccardo è sempre tranquillo. Non pensa ai guai. Non crede di non poterli superare.
Ben non si ferma. “Si fotta, Ian, che casino ha combinato questa volta?”
Il suo amico sorride, scuote la testa. Ben e Ian non si sono mai piaciuti. Meglio, Ian non è mai piaciuto a Ben. Si sono conosciuti molto tempo prima, prima ancora di iniziare a viaggiare. Riccardo non conosce tutta la storia. Forse non la conoscerà mai. Non se ne preoccupa, però. Riccardo non si preoccupa mai.
“Niente di nuovo.” Dice invece. “Non a tutti piacciamo. C'è stata la fine del mondo, ricordi? Non tutti amano i viaggiatori.”
Questo è vero. Non a tutti piacciono i viaggiatori. E c’è stata la fine del mondo.
La fine del mondo. Anche provando, Riccardo non ricorda, non sa dire quando esattamente la fine sia avvenuta. Sa solo che è stato così. Non ci è voluto un giorno, non un mese e forse nemmeno un anno intero. Sa però che è stato così, e che a un certo punto non si è più potuto, volendo, negarlo.
Il mondo è finito. La civiltà ha fallito. L’uomo ha fallito. Quello che si può fare, al massimo, è ricostruire. Non è rimasto molto con cui farlo, però.
Il cibo è poco, il legno anche meno, minerali preziosi come ferro e carbone sono pressoché introvabili. Il petrolio è un vago ricordo, elettricità e acqua corrente si perdono in un passato leggendario.
Rimangono le rovine. Rimane la guerra, inutile come solamente una guerra può esserlo. Rimane il futuro. Forse.
Ben si guarda alle spalle. Nessuna traccia di Lynn e Ian. Si volta verso Riccardo. “Dove dovremmo cercare Vas, secondo te?”
“Iniziamo dalla piazza centrale.”
Non che oltre ad essa vi siano altri posti, in paese.
L’ultima piazza abitata è quella di una chiesa. L’edificio è alto, imponente. Le antiche pietre sono annerite e il tetto è collassato. Il campanile è crollato in avanti. Quel che ne rimane è uno scheletro scarnificato, puntellato con scarti di latta e lamiera, trasformato in una grande tavolata all’aperto. Attorno ad essa la gente parla, ride, scherza.
Riccardo si irrigidisce. Afferra l’impugnatura della corta spada legata alla coscia. Realizza cosa sta facendo. Si rilassa, ci prova. Si rende conto di cosa è successo. Non è più abituato al rumore della felicità. Probabilmente non lo è mai stato.
Ben lascia scorrere lo sguardo su ciò che rimane degli edifici che circondano la piazza. Lo vede. “Eccolo là.” Si dirige in un angolo. Riccardo gli va dietro.
Una ragazza siede su un uomo che siede su un bidone dei rifiuti. Alza lo sguardo al loro avvicinarsi. I suoi occhi sono pieni di triste allegria. Apre bocca per dire qualcosa. Le parole dell’uomo sotto di lei soffocano quel qualunque cosa sia.
“Amici! Eccovi qua, finalmente!”
Vassily si alza in piedi. La ragazza che ha in braccio fa lo stesso per non cadere.
“Tesoro, senti...” Inizia a dire lui.
Lei si volta e corre via.
Vassily la guarda andarsene. Affronta i due uomini davanti a lui. “Ecco, siete contenti? Avete rovinato tutto, grazie mille!”
Riccardo non replica, non dice nulla. Vassily non gli piace, come a Ben non piace Ian. Non gli piace il suo modo di essere e non gli piace il suo modo di fare, non il ventre prominente che non sembra riempirsi mai, non la fitta barba nera che copre il doppio mento.
Non gli piace, per quello che conta. Vassily è un buon cuoco ed è un viaggiatore. Ed è un compagno, a modo suo, un amico proprio come Ben. Questo conta.
“Che fine hanno fatto Ian e Lynn?”
“Sono ancora sulla collina. Avevano... da fare.”
Il volto pieno di Vassily si distende in un sorriso laido. “Lo so.”
“Non lo sai.” Dice semplicemente Riccardo.
“Senti, Ian ci ha parlato di zuppa di gatto.” Interviene Ben. “Sai, non è che proprio noi andiamo matti per la zuppa di gatto, però...”
“Oh.” Vassily spalanca gli occhi. “Ecco... Ian l’aveva detto che la zuppa andava tenuta da parte. Però Marie è venuta da me, ha detto che le era piaciuta ma che aveva ancora fame...” China il capo per la costernazione. “Io... davvero, mi è passato di mente. Se c’è una cosa che conosco, è la fame. Mi dispiace, sul serio.”
Ben sbuffa con rassegnazione. Riccardo resta in silenzio.
Il cuoco osa appena guardarlo. Il suo rimorso è autentico.
“Ricky, scusa, dai. Non prendertela...”
“Tranquillo, lascia stare. Mangerò qualcosa alla locanda.”
Vassily torna a sorridere. “Grazie, amico.” Sferra a Riccardo un pugno amichevole sulla spalla. Riccardo contrae le dita della mano destra. Le riapre.
“Ok, la zuppa di gatto ce la siamo giocata.” Ben afferra di nuovo la sua chitarra. “Tant’è, non mi sono mai piaciuti, i gatti. Vediamo se da queste parti amano la buona musica tanto quanto amano la buona cucina.” Va verso la porta di quello che un tempo è stato il municipio. Dentro hanno acceso le prime candele della serata.
Riccardo e Vassily rimangono in silenzio per qualche secondo.
“Dov’è Chloe?” Chiede Riccardo. “Dove sono Per e Lisbeth? Li aspettavamo qui per stasera.”
“Ian non te l'ha detto?” Vassily sembra dubbioso. “Non verranno. Non qui, non stasera, almeno.”
Riccardo si rabbuia. “Quando, allora? E dove?”
“Hanno mandato un piccione da... accidenti, non credo che abbia un nome... un paese a sud, venti, trenta chilometri in linea d’aria. Hanno dovuto allungare il giro, banditi sulla strada, pare. Dicono che faranno il possibile per raggiungerci sulla costa. Per e Lisbeth, almeno. Chloe... non sanno se proseguirà.”
Riccardo sente un tuffo al cuore. “Perché?”
“Dicono che hanno incontrato un ragazzo, per strada. Una brava persona. Vuole passare il confine con la vecchia Germania. Chloe ha deciso di andare con lui.”
“Capisco.” Mormora Riccardo.
“Ecco, lei... le dispiace, insomma... sa quant’è importante per te... salpare. Vorrebbe venire a... a salutarti, almeno. Non dipende più solo da lei, però. Dipende anche da quest’altro, questo... tizio. Io... ecco...” Cerca le parole. “Mi dispiace.”
“Non devi.” Riccardo non lo sta quasi più a sentire. “Non... non importa. Va bene così. Chloe vuole... ha fatto la sua scelta.”
Non aggiunge altro. Si allontana. Non va verso il municipio. Non verso la chiesa crollata. Trova un vicolo buio. Si appoggia al muro. Stringe i denti, serra le palpebre.
Chloe. Non verrà. Chloe, che riesce chissà come a tenere i suoi lunghi capelli rossi sempre puliti. Chloe, con il suo sorriso e la sua generosità e la sua voglia di fare. Chloe, a cui lui una notte ha dato il sacco a pelo, pur di non dividerlo con lei. Non verrà.
Riccardo se lo aspettava. Doveva aspettarselo. Lui non ha mai fatto segreto del suo obiettivo, vuole raggiungere il mare e salpare. Con i suoi compagni di viaggio risale la vecchia Francia, attraversa quella che una volta era la Normandia. Chloe non ha mai detto che sarebbe andata con lui. Non ha mai detto il contrario. Una volta ha detto che il mare le piace, e le sarebbe piaciuto salpare.
Lui ha creduto... a cosa? A quello che c’è stato tra di loro? Cosa c’è stato fra di loro? Qualcosa, forse, una volta. Troppo poco. Non abbastanza.
Più in là, lungo il muro, si apre una finestra. Oltre, nella locanda, la gente ride, la gente beve, la gente ascolta. Ascolta Ben suonare la sua chitarra e lo ascolta cantare.
“Between a man and a woman, it’s everything or nothing at all”

Il tetto del municipio è crollato. Un colpo di mortaio inglese, a quanto dicono. La locanda del paese è sorta nelle cantine.
In quella stanza manca l’aria. C’è puzza di chiuso, vomito e corpi non lavati. Le candele artigianali illuminano appena i tavoli e il loro fumo fa lacrimare gli occhi.
La birra è fredda, in qualche modo, e forte e buona. Scivola nella gola con incredibile facilità. Riccardo prova a pensare se è arrivato alla quarta, alla quinta o a qualche numero più in là. Non ne ha la più pallida idea.
Siedono tutti a un tavolo. Lui, Vassily, e Ben, che grazie alla sua esibizione a cielo aperto ha elemosinato quanto basta per offrire la cena a Riccardo e Lynn.
Lei e Ian sono scesi dalla collina con una decisione. In paese si è fermato un plotone di soldati inglesi diretti al fronte. Andranno ad arruolarsi il giorno dopo.
Vassily e Ben hanno brindato ai loro propositi e hanno scherzato a riguardo. Però sono tristi, Ben soprattutto. Non gli piace l’idea di perdere tutti i suoi compagni di viaggio. Lui non vuole andare a combattere, e non salperà nemmeno con Riccardo. Non è ancora pronto.
Riccardo lo sa, lo ha sempre saputo, come sapeva da subito che a un certo punto Lynn e Ian se ne sarebbero andati. Due guerrieri, prima ancora che soldati. Appartengono alla guerra.
“Allora dove sono Lisbeth e Per adesso?” Chiede Ben.
“Non so il nome del paese.” Confessa Vassily.
“Dicono che ci sono stati dei problemi sulla strada a sud.” Spiega Ian. Afferra il bicchierino davanti a sé. Scruta il contenuto come se fosse indeciso sul da farsi. “Ci raggiungeranno più avanti, dicono. Come gli pare.” Ian non beve birra. Non gli piace. Gli piacciono i pochi liquori che ancora si distillano. Come la vodka di patate che, se ancora ci fossero auto, sarebbe buona come carburante. “Farò a meno della loro conoscenza. Slainte.” Butta giù il contenuto tutto d’un fiato. Batte il pugno sul petto. Tossisce.
Lui non li ha mai incontrati di persona, Per e Lisbeth. Vassily sì, e anche Lynn. Ben conosce solo Lisbeth, ha viaggiato solo con lei in diverse occasioni, ma non ha mai visto Per.
I viaggi vanno così. Ognuno ha la sua meta, ognuno va per la sua strada. Molti fanno le stesse strade, alcuni si ritrovano a viaggiare insieme, ma pochi, pochissimi, sono diretti allo stesso posto. Non è facile restare a lungo nello stesso gruppo. Si arriva troppo presto al momento di salutare i vecchi amici per trovarne di nuovi.
Riccardo ha dovuto farlo, più volte di quanto non gli piacerebbe ammettere. Ian e Vassily li conosce da meno di un mese. Chloe da sei mesi, forse un anno, Lynn da un po’ di più, Ben da molto di più.
Prima di incontrarli, di iniziare a viaggiare con loro, ci sono stati Antonio e Susanna. Li ha conosciuti dopo aver lasciato quella che è stata la Spagna, ed assieme sono risaliti fino al cumulo di macerie che resta di Parigi. Loro tre e Said.
Non è stato un viaggio semplice. Tanti ritardi e troppi litigi. Una volta Antonio lo ha anche menato, anche se lui ora non si ricorda il perché.
Gli mancano. Tutti e tre.
Antonio è un tipo taciturno. Quando apre bocca in genere lo fa per deridere qualcuno. Però conosce le strade, conosce le mappe, è pragmatico fino alla morte e non si perde mai.
Susanna è l’opposto, gentile, estroversa, allegra, terribilmente distratta. Non la si può mai lasciare da sola, né lei ci vuole restare. Con sé porta sempre un taccuino su cui segna ogni cosa.
Said, anche lui parla poco, ma ha molto da dire. Sa molte cose, più di quanto non sia lecito aspettarsi da chiunque dopo la fine del mondo. È permaloso, ma a modo suo spiritoso. Per colpa sua Riccardo e Antonio si sono trovati vicini al trovarsi con la gola tagliata. Più di una volta.
Ora però non sono là. Non viaggiano più, non con Riccardo. Sono andati via, come gli altri prima di loro. Come Juan, assieme al quale ha attraversato la Spagna, che era con lui sullo scoglio chiamato Malta, che Riccardo considerava come un fratello.
Come quelli che ci sono stati ancora prima, in Italia, i cui nomi non gli tornano in mente. Riccardo viaggia da tanto tempo. Da quando era appena in bambino. Ha avuto tanti compagni di viaggio. Non li può ricordare tutti.
E adesso è arrivato di nuovo a quel punto, al punto di dire addio ai suoi amici, a quelli che conosce, e di andare avanti, da solo. Ce ne saranno altri, lo sa, è certo. Non saranno mai come quelli che si lascia indietro. Anche questo è certo.
“Quindi se ho ben capito questa è la nostra ultima notte insieme.” Urla Vassily. Parla sempre a voce un po’ alta. Riccardo crede che sia duro d’orecchi. Non glielo ha mai chiesto.
“Chi ha detto che dobbiamo morire?” Replica Lynn. “Il mondo è grande. Noi siamo viaggiatori.” Sogghigna e beve. Nemmeno a lei piace la birra. Preferisce il vino. “Ci rivedremo da qualche parte a sud di ‘fanculo, in Cina, in Australia, o a gelarci il culo in cima al monte Everest.” Riccardo la osserva vuotare il bicchiere. Sa che non crede a una singola parola.
“Sarà.” Ben tracanna la sua birra fino all’ultima goccia. Almeno a lui, piace. Sbatte il boccale vuoto rumorosamente sul tavolo. “Ma a me questa pare proprio una sera speciale.” Si pulisce la bocca con il dorso della mano. “E dalle mie parti le serate come questa vanno festeggiate.”
Spinge indietro la sedia. Raccoglie da terra la sua chitarra. Tenta un accordo ma non sente nulla. Troppo rumore nella cantina.
Non si da per vinto. Afferra il boccale e lo picchia ripetutamente sul tavolo. Sono fatti di legno solido e fanno un gran baccano. Lentamente, tutti si zittiscono e si voltano verso Ben.
Alcuni sembrano felici. Altri lo guardano male. Altri ancora non sono abbastanza sobri da capire cosa stia succedendo.
“Smettetela di tracannare per cinque secondi e state zitti!”
Aspetta un momento per vedere cosa fanno gli avventori. Alcuni tornano a bere scuotendo la testa. Nessuno inizia a urlargli insulti. Lo prende come un segno positivo.
“Per prima cosa, un altro giro per tutti i miei amici. Poi, in onore della bellissima donna a questo tavolo, vi annuncio che siete molto fortunati, perché non vorrò alcun compenso per la mia prossima esibizione.” Sorride. La sua mano inizia a pizzicare lievemente le corde. “Un momento di attenzione, per favore, per la storia che vi sto per cantare. Vi narrerò della maledizione dei cavalieri fantasma e della loro eterna cavalcata attraverso il cielo.”
Inizia a suonare. Agli accordi aggiunge la sua voce intonata.
“An old cowboy went riding out one dark and windy day
Upon a ridge he rested as he went along his way
When all at once a mighty herd of red eyed cows he saw
A-plowing through the ragged sky and up the cloudy draw”
Riccardo non lo sta a sentire. Conosce quella canzone. Ben ne sa tante, ma a volte, raramente, capita che si ripeta. Nulla di grave. A Lynn quella canzone piace.
Lui intanto guarda fisso un punto davanti a sé. Per un attimo non si accorge che quel punto è occupato da una ragazza.
Siede da sola, in disparte, in un angolo buio. Ha il capo chino, le mani giunte sul pezzo di pane raffermo con cipolla che costituisce la sua cena. La flebile luce della candela raggiunge a malapena i boccoli che le ricadono sulle spalle. Dove ci riesce, risplendono come rame lucidato.
Si sente osservata. Alza la testa. Il suo sguardo incontra quello di Riccardo. I suoi occhi risplendono come due smeraldi. Li abbassa subito.
Riccardo si gira. Si trova faccia a faccia con Vassily.
“E bravo Ricky, eh? Un gran bella fighetta, non c’è che dire. Con quei capelli rossi poi... non ti dico quello che sto pensando!”
Scoppia a ridere, dandosi una gran pacca sulla pancia.
“Lei la lascerai stare.”
Il tono di Riccardo è gentile ma fermo. Vassily rimane interdetto. Si stringe nelle spalle.
“La vuoi te? Va bene, è tutta tua. Solo per questa volta, eh?”
Si volta, afferra al volo la cameriera venuta a portare la birra e la fa sedere sulle sue ginocchia.
Riccardo scuote la testa. Si alza.
Tutti hanno gli occhi fissi su Ben. Molti anche la bocca aperta. La musica è un evento raro, di questi tempi.
Nessuno presta attenzione a Riccardo mentre scivola fra i tavoli. Nessuno lo nota mentre si siede di fronte alla ragazza. Neanche lei. Ma lei sta solo fingendo.
“Ciao.” Mormora Riccardo.
La ragazza alza appena il viso. Solleva gli angoli della bocca in una parodia di sorriso. “Hi.
È bellissima. Da quella distanza risulta ancora più evidente. “Come ti chiami?"
Lei non vede l’ora di tornare al suo pezzo di pane e cipolle.
Sorry, I don’t understand... language...
Non conosce il francese.
Never mind. I speak English quite well.” Riccardo parla bene l’Inglese, quasi quanto il francese. “Where do you come from?
I... once, they called her... Ireland.” La parola le esce a fatica.
La strada è lunga, da quella che una volta chiamavano Irlanda a lì. Quella ragazza ha una storia, una storia che forse vale la pena di conoscere. Una storia non felice, a giudicare dai suoi occhi.
May I ask you a favour?
What... what sort of favour?” La ragazza è preoccupata. Non sa cosa lui voglia da lei.
Don’t be afraid.” Riccardo tende la mano al di sopra del tavolo. “It won't take long. I swear.” Non ce nulla di cui preoccuparsi. Una questione di pochi minuti.
Lei lo fissa con occhi sbarrati. Lui aspetta. Se non se la sente, non può certo obbligarla.
Timidamente, come se fosse peccato mortale, stringe la mano di Riccardo. Lui la fa alzare in piedi.
Con gentilezza la porta al suo tavolo.
Ben ha smesso di suonare. Sta facendo una gara di bevute con Lynn. Lascia la birra a metà quando vede avvicinarsi l’amico.
Riccardo cede il suo posto alla ragazza. Lei guarda Ben, Vassily, Ian. Ha un’espressione poco convinta.
A Vassily brillano gli occhi. “Signorina, buonasera.” Si volta per guardarla meglio. Le rivolge il suo sorriso migliore. “Lasci che mi presenti, il mio nome è...”
“Fiato sprecato, Vas. Non parla il francese.”
“La tua ultima conquista?” Chiede Ben.
“Una ragazza sola in un angolo.” Riccardo si appoggia al tavolo. “Credi di poterci concedere un’altra canzone per questa sera?”
Ben capisce. Riprende la chitarra. “Da dove hai detto che viene la signorina?”
“Irlanda.”
“Signori!” Ben fatica di meno, questa volta, per ottenere silenzio. “Se volete prestarmi ancora qualche momento di attenzione, credo che suonerò un’ultima canzone, one last song.” Si gira verso la ragazza. “For this beautiful lady over here...
L’espressione di lei è sempre più preoccupata.
Ben inizia a suonare. Dopo le prime note lei capisce. Si rilassa.
Solo allora Ben è certo di aver fatto la scelta giusta.
By a lonely prison wall I heard a young girl calling
‘Michael they have taken you away
For you stole Trevelyan’s corn so the young might see the morn
Now a prison ship lies waiting in the bay’.
La prima strofa la canta soltanto Ben. Quando arriva al ritornello lei si ricorda le parole, trova il coraggio per cantare, e aggiunge la propria voce alla sua. Ha un timbro stupendo, che si intona alla perfezione con quello di Ben.
Low lie the fields of Athenry
Where once we watched the small free birds fly
Our love was on the wind
We had dreams and songs to sing
It’s so lonely, ‘round the fields of Athenry.
Ben, del resto, è bravissimo con la chitarra. In pratica, quella è la loro unica fonte di sostentamento. Non può essere altrimenti.
Nella cantina cala il silenzio. La gente smette di bere, di urlare, di parlare. Tutti si fermano, si voltano, e ascoltano.
La seconda strofa la canta solamente lei. E per un momento, per un breve momento, a Riccardo pare di aver attraversato il mare, e di trovarsi già tra le colline dell’isola che una volta era chiamata Irlanda.
Si rilassa. Chiude gli occhi. Ripensa ai vecchi compagni di viaggio. Ad Antonio, a Said, a Susanna. Soprattutto a Susanna. A lei quella canzone sarebbe piaciuta.
Lei era l’unica a crederci veramente, al viaggio. Era un’idealista, una sognatrice. Per un certo periodo, è anche stata l’unica a tenere il gruppo assieme.
Said non credeva a nulla e non sperava in nulla. Lui viaggiava per bisogno, per disperazione. Cercava un posto migliore, uno dove la vita fosse più semplice, dove magari il mondo non fosse ancora finito. Non si viaggia in questo modo. Il viaggio bisogna sentirlo dentro.
Antonio... per Antonio il discorso è diverso. A sentirlo, lui era quello che meno di tutti aveva fiducia nel viaggio. Diceva di non averne bisogno, di non stare andando da nessuna parte, di non stare nemmeno viaggiando.
In realtà, da qualche parte stava andando. Andava dove andava Susanna. La amava, e lei amava lui. Certi giorni pareva che tutto il mondo lo sapesse, tranne loro due. Per questo hanno smesso. Hanno deciso di fermarsi, di smettere, di costruire una casa, una famiglia, cercare di rendere la vita un po’ più normale.
Said se n’è andato più o meno nello stesso periodo. In un paese stavano provando a riaprire la miniera locale e serviva un bravo ingegnere. Alla fine, anche lui ha trovato quello che cercava.
Solo Riccardo resta sulla strada, da solo.
E poi la canzone è finita.
It’s so lonely round the fields of Athenry.
Ben lascia che le ultime note si smorzino da sole nel silenzio.
Nessuno dice nulla.
Riccardo non sa, non riesce a capire chi inizi per primo. Forse è un ragazzino vicino alla parete. Forse è un uomo seduto sui gradini della scala. Capirlo diventa presto impossibile. Tutte le persone della cantina, clienti e cameriere, sobri e ubriachi, chi urlando e chi battendo i boccali sui tavoli, tutti manifestano rumorosamente la propria approvazione per Ben e quella ragazza.
Ed è solo per lei che Riccardo ha occhi in quel momento.
Ci vuole qualche secondo perché lei si volti.
Sorride.
E di colpo la cantina si illumina a giorno.

Sotto il sole del primo mattino la piazza si affolla rapidamente.
Il campanile crollato si trasforma in banco da esposizione. Quel giorno sono cinque i mercanti venuti a offrire le proprie merci.
Tre sono contadini. Negli ultimi anni hanno riconvertito in orti i giardini delle ville della campagna circostante e ora ne raccolgono i frutti. Un altro è un fabbro-intagliatore. Vende spille, fermagli e utensili in ferro battuto e legno. Più in legno che in ferro battuto.
L'ultimo, quello che fa affari migliori è un farmacista ambulante, che offre sia rimedi naturali che articoli saccheggiati da ospedali e farmacie in giro per il mondo.
La gente da queste parti ha gusti semplici. Chiedono aspirina e preservativi. Il farmacista è tutt'altro che stupido. Offre scorza di salice da far bollire per l'acido acetilsalicilico, e guaine di carta e intestini di pecora.
Ben, Riccardo e Vassily siedono e osservano la compravendita con un interesse che nasce dalla noia.
"Chissà perché tutti preferiscono gli intestini di pecora..." Dice Ben, rivolto a tutti e a nessuno in particolare.
"Beh, sono molto di gran lunga i più comodi." Replica Vassily.
"Immagino vi siano vantaggi ulteriori alla mera ergonomia."
Vassily si volta verso Riccardo. "Ecco, adesso riparte... ti prego, ignoralo..." Da di gomito e sorride. Riccardo lo ignora.
"Senti," continua, imperterrito "posso chiederti una cosa?"
"Quello che vuoi."
"Quella ragazza, ieri sera... alla fine non te la sei fatta, giusto?" Riccardo annuisce silenziosamente. "E allora qual è stato il senso della canzone?"
"Pensavo che le servisse sorridere. Per ricordarsi come si fa. Ero curioso di scoprire che genere di sorriso avesse." Si ferma per un momento. "Ne è valsa la pena."
"Sì, ma..."
"Stanno tornando." Lo interrompe Ben.
Lynn e Ian emergono da un vicolo dall'altra parte della piazza e si avvicinano a grandi passi. Entrambi sono raggianti.
"Li avete trovati?" Chiede Ben appena sono a portata di voce.
"Sì." Risponde Lynn. "Sono alloggiati in un casolare, credo fosse una scuola, duecento metri giù per quella strada. C'è un ufficiale che fa colazione in giardino. Adesso andiamo a parlarci."
"Adesso?"
"Adesso." Afferma Ian.
"Veniamo con voi."
"Non è necessario..." Inizia Lynn.
"Veniamo con voi." Replica Riccardo. Si alza in piedi. Ben e Vassily si alzano a loro volta. Nessuno ha da ridire. Nessuno dice nulla per il breve tragitto.
Nel giardino di quella che un tempo è stata una scuola, seduto su un ceppo d'albero abbattuto, siede un uomo in avanti con gli anni.
Ha la barba mal fatta e il cranio rasato. Nelle grandi mani callose stringe delicatamente un uovo. Picchietta sul guscio con la punta del coltello.
Poco distante monta la guardia una sentinella annoiata. In testa ha un elmo forato in più punti, in mano stringe una lancia dalla lama larga, di ferro scuro. La sua divisa è rosa dalle tarme, ma su di essa campeggia uno scudetto con una croce rossa in campo bianco, nuovo di zecca.
Si accorge lui, per primo, del gruppo di nuovi arrivati. Scruta Lynn da capo a piedi con uno sguardo lascivo.
"Ehi, bella!" La apostrofa. "La vuoi vedere una lancia più lunga di questa?" Agita il pezzo di legno che si ritrova in mano.
Lynn degna appena di uno sguardo. Ian digrigna i denti e stringe i pugni. Ben sfiora il mani della pistola. Riccardo fa un passo in avanti, prima che Vassily lo trattenga.
"Chiudi il becco, Jenkins." Ordina l'ufficiale con tono annoiato. Alza gli occhi. "E voi cosa volete?"
Lynn si piazza proprio di fronte a lui. "Vogliamo arruolarci. Io e il mio amico." Ian si porta al suo fianco. Non dice nulla.
"Ah!" La guardia fa un verso a metà tra una risata e un colpo di tosse. "So io dove ti manderei, un bel visetto come te! Dritta negli alloggiamenti, a tener su il morale della truppa!"
"Mi pareva di averti detto di tacere, Jenkins." L'ufficiale osserva attentamente Lynn e Ian. Il suo sguardo si posa sulle loro armi. Vi resta per qualche secondo. "Non ci servono uomini, al momento. Né donne."
"Vi servono persone abili, a prescindere dagli attributi sessuali." Ribatte Lynn. "Un posto si libererà quando il prode Jenkins si farà ammazzare tentando di spaventare il nemico con la sua enorme lancia. Di più, se i suoi compagni sono furbi quanto lui."
Jenkins sobbalza. Le sue guance diventano paonazze. "Ehi, troia senti un po'..."
"Insultami ancora, Jenkins, e io ti sparo." Lynn sorride candidamente mentre sussurra la minaccia. "Allora sì che ci sarà posto per una donna in più."
Jenkins di colpo si sbianca. "Signore..."
"Silenzio." L'ufficiale guarda Lynn con un minimo di interesse in più. "Belle parole. Io però non ho tempo né voglia di addestrarvi. Che ottengo a prendervi se vi fate ammazzare alla prima azione? Due uniformi bucate in più, e il cielo sa quanto male stiamo messi ad uniformi."
Lynn non batte ciglio. "Le armi non le teniamo per bellezza. Non ci serve nessun addestramento."
"Parole. A me servono fatti." Si guarda intorno. "Per esempio, se ti dessi cinque secondi per tirarmi giù quel pezzo di metallo dal tetto laggiù in fondo?"
Lynn si volta. Il pezzo di metallo è la vecchia antenna televisiva di una casa a cinquanta metri di distanza.
Ci vogliono due secondi perché la ragazza imbracci e armi. Altri due per valutare il vento. Al quinto l'antenna si abbatte sul selciato in uno sferragliare metallico.
Jenkins fischia la sua approvazione.
Sul volto dell'ufficiale appare il fantasma di un sorriso.
"Un cecchino. Non uno dei peggiori. Potremmo farcene qualcosa di te, in effetti."
Lynn gli sorride sfacciatamente di rimando. "E il mio amico qua non è da buttar via. Un geniere mica male."
"Sai sparare bene quanto lei?" Domanda l'ufficiale a Ian.
"Non quanto lei." Ammette lui. "Ma se gli stronzi si avvicinano, faccio tanto baccano, e loro sono morti lo stesso. Se non di più."
"Esplosivi. Potresti esserci utile anche tu. Di un po', la dinamite sai fartela da solo?"
"In caso contrario, avrei poco di cui essere esperto."
L'ufficiale si alza in piedi. "Sapete, mi è venuta la mezza idea di prendervi con noi per davvero."
Gli occhi di Lynn lampeggiano.
"E se accettassimo dove andremmo?" Chiede Ian.
"Chi può dirlo? America, India... Il mondo è andato a puttane e noi abbiamo un impero da ricostruire."
I sorrisi di Lynn e Ian hanno poco a che fare con la ricostituzione dell'Impero Britannico.
Combatteranno, e continueranno a viaggiare. Tutto quello che hanno sempre voluto.
L'ufficiale accenna agli altri tre. "E i vostri amici?" Domanda.
"Spiacente, non sono interessato." Risponde Ben. "Sono solo un musicista, non mi interesso di imperi e ricostruzioni."
"Ehi, Riccardo potrebbe farlo." Dice Vassily. "Anche lui non è male con il fucile, eh? Il fisico non gli manca, vero?"
Riccardo rimane in silenzio.
L'ufficiale lo scruta attentamente.
"Sì, un perfetto bersaglio. A vederlo così sembra uno di quei froci che si lagnano quando spariamo in bocca ai prigionieri."
Lynn non ha voglia di sentire discorsi del genere.
"Allora? Dobbiamo firmare da qualche parte?"
"Firmare?" L'ufficiale sembra sorpreso. "E chi sa leggere? Dai, dammi nome e cognome."
"Lynn Hansen."
"Da dove vieni, Lynn Hansen?"
"Una volta era la Norvegia, adesso..."
L'ufficiale si schiarisce rumorosamente la gola. "Forse non vi ho detto l'esercito di Sua Maestà la defunta regina arruola unicamente cittadini di Paesi o ex-Paesi del Commonwealth. Ora, non credo di aver sentito bene, da dove vieni?"
"Inghilterra." Risponde Lynn, che non è certa di quali altri Paesi facessero parte del Commonwealth.
"Perfetto. Tu." L'ufficiale indica Ian. "Nome e cognome."
"Ian Clerk."
"Da dove vieni, Ian?"
"Scozia."
Cala il silenzio. Non uno di quelli belli.
Jenkins stringe più forte la lancia tra le mani. Sputa per terra.
Ian non capisce. O forse capisce fin troppo bene. "Cosa...?"
"Brutto figlio di una pecora inculata! Lo mandi dentro, capitano! Sono mesi che non ci passa per le mani uno scozzese, iniziavamo ad annoiarci."
"Jenkins, non mi ripeterò: chiudi quella bocca o ti stacco la testa con le mie stesse mani, chiaro?" L'ufficiale è più deciso. Quanto basta per far tacere Jenkins.
"Qual è il problema?" Chiede Ian. "Ha detto Paesi appartenenti al Commonwealth, la Scozia..."
L'ufficiale ricadde seduto sul ceppo. "Non riesco a capire se sei stupido o solamente ignorante. Davvero non ne hai idea? Davvero non sia com'è andata la storia?"
Ian annuisce bruscamente. "So cos'è successo, ma non..."
L'ufficiale lo interrompe alzando la mano. "Prego, lascia che ti rinfreschi la memoria. Vedi, quando il mondo è finito, è stato un gran casino. Niente cibo, niente risorse, gente incazzata, epidemie, isteria di massa, suicidi di massa, omicidi, genocidi, atrocità..."
Nessuno disse nulla. Niente di nuovo, fin lì.
"Ecco, mentre l'Inghilterra faceva il possibile per stare a galla in mezzo a questo sfacelo, la cara vecchia Scozia ha pensato bene di combattere per la propria una cazzo di indipendenza. Ora, non dico che tu fossi in prima linea, su nelle highlands c'è gente che non sa cosa succede a cinquanta miglia da casa sua, almeno credo..."
"E quindi?" Lo incalza Lynn.
"Semplice. La Scozia non ci ha voltato le spalle nel momento del bisogno, ha aspettato che fossimo noi a voltarci per ficcarcelo dove fa più male. Ci avete invasi, con una certa dose di massacri tra civili, ritorsioni, plotoni d'esecuzione, questo genere di cose. Uno scozzese una volta mi ha detti che tutto questo è nulla in confronto a quello che Oliver Cromwell ha fatto alla Scozia. Ora, io dico, ma chi cazzo è Oliver Cromwell?"
"Io..." Inizia Ian.
"Lascia perdere. Ti dirò la verità: io non ho niente contro di te. Non ho niente neanche contro gli scozzesi in generale, dannazione, in parte lo sono anch'io, scozzese, per merito della mia bisnonna, però non ti posso arruolare. Lo faccio anche per te. I miei ragazzi, ecco, a loro sì che girano le palle. Finiresti legato a un palo e usato per gli esercizi di spada mattutini in un due giorni. Se non peggio."
Ian apre la bocca. La chiude.
"Non ho problemi con la ragazza." Continua l'altro. "Proveranno a usarla per scaldarsi la notte, ma saprà difendersi. Tu se entri sei un morto che cammina."
Le labbra di Ian tremano. Quando parla lo fa comunque con voce ferma.
"Cosa dovrei fare, allora?"
L'ufficiale si stringe nelle spalle.
"Non sono affari miei. Ho sentito che dalle parti di Dunquerque è sbarcato un reggimento degli Higlander, non so quale. Certo che ve la ricordate bene, la vostra auld alliance del cazzo. Prova là."
Ian annuisce.
"Niente da fare." Interviene Lynn. "O tutti e due o nessuno. Non mi cambia tanto ammazzare francesi per gli inglesi o viceversa. Se voi non ci volete, magari a Dunquerque saranno più furbi di voi."
L'ufficiale si alza in piedi.
"Come preferite. Andate a Dunquerque, se credete. La questione mi riguarda davvero poco. Noi partiamo domani a mezzogiorno." Accenna a Lynn con il capo. "Se vuoi venire, fatti trovare qua." Si volta verso Ian. "Quanto a te... non farti più vedere. Jenkins, con me."
L'ufficiale si volta ed entra nella scuola. Jenkins rimane qualche secondo a guardare il gruppo. Sputa verso Ian. Entra.
"Ian..." Mormora Lynn a mezza voce.
Ian non la ascolta. Si volta. Spinge via Vassily.
Si allontana lungo la strada. Da solo.

Il vento soffia dalla baia. Porta con sé l'odore del sale e le grida dei gabbiani. Sulla spiaggia, però, domina incontrastato un unico rumore, il lento, ritmico sciabordio delle onde contro la sabbia.
Tra le dune hanno eretto un piccolo falò. Non ha resistito molto. Le prime luci dell'alba lo hanno trovato ridotto a un freddo cumulo di ceneri.
Il freddo permea ogni cosa. Lo spinge la brezza fin dentro le ossa. Lo trasmette la sabbia che scivola inerte tra le dita. Lo sente Riccardo dentro di sé mentre manda lo sguardo a vagare lungo la linea cangiante dell'orizzonte.
Il mare. Finalmente.
Non è stato facile. Non è stato breve. Ma ce l'ha fatta.
Ha attraversato mezza Europa, visto venire e andare tanti amici, fatto troppi sacrifici. Ma ce l'ha fatta.
Il mare.
"A cosa stai pensando?"
"A quanto tempo abbia passato a sognare questo momento. Non è come me lo immaginavo."
Una risata. "Non lo è mai."
Riccardo si volta. Per gli sorride dall'altro lato del falò spento. Se non bello, è un ragazzo affascinante, dagli occhi magnetici e dal corto pizzetto.
"Sono contento che ci siate anche voi." Dice Riccardo.
"Sì." Per distoglie lo sguardo. "Non quanto lo saresti se ci fosse Chloe, però."
Riccardo non risponde.
Forse è così, e forse non lo è. Forse avrebbe voluto rivederla una volta ancora, una soltanto. Forse dire addio anche a lei sarebbe stato tanto, troppo difficile.
Già così non sarà facile. Non lo è stato nemmeno con Lynn. E dire che Riccardo credeva di esserci abituato, agli addii.
Si sono salutati nella piazza del villaggio. Lynn li ha abbracciati tutti. Non aveva le lacrime agli occhi. Non Lynn.
"Mi mancherai." Ha sussurrato a Riccardo prima di staccarsi da lui.
"Anche tu." Ha risposto lui.
Vassily ha riso, una risata nervosa, e detto che quello non era un vero addio. Nessuno ha aggiunto nulla. E poi Lynn se n'è andata. Anche lei.
Riccardo prova a ricordarsi di com'è stato dire addio a Susanna, tanto tempo prima. Non ci riesce. Non crede ci sia mai stato un vero e proprio addio.
Lei e Antonio avevano costruito la loro casetta e lui per un po' ci aveva abitato, sgradito come solo un terzo incomodo può esserlo. Una notte si era stancato ed era uscito dalla finestra.
Era la cosa giusta da fare. All'epoca, almeno, lo sembrava. Ora Riccardo non ne è più convinto. Per quel che vale.
Susanna gli manca. Più di Said e Antonio messi assieme. Anche se a volte era odiosa. Anche se a volte avrebbe voluto strozzarla. Era la sua amica. E adesso non è lì a vederlo partire.
Ben, Lisbeth e Vassily ritornano dalla loro passeggiata in riva al mare.
"Com'è andata?" Chiede Riccardo, senza tanto interesse.
"Il mare era freddo." Si lamenta Vassily. "E bagnato."
Ben alza gli occhi al cielo. "Quali soverchie novità!"
Lisbeth alza la mano stretta a pugno. Lentamente apre le dita. "Io ho trovato una conchiglia!" Lo dice con un sorriso raggiante e un tono trionfale, come se in mano reggesse la perla più grande del mondo anziché un guscio scheggiato dai colori smorti.
Per le sorride di rimando. "Bella. Mai quanto te."
Lisbeth si siede davanti a lui, dandogli la schiena. Lascia che le sue braccia la avvolgano. Continua a rigirarsi la conchiglia tra le mani.
Se Per è affascinante, Lisbeth è bella, bella nel senso più proprio del termine. Non carina, non attraente. Bella. Mai quanto Chloe, si ritrova a pensare Riccardo. Subito dopo trova a darsi dello stupido.
"Dov'è finito Ian?" Chiede Ben sedendo su un mucchio di sabbia poco lontano.
"Sugli scogli, credo." Risponde Riccardo. "Voleva stare da solo. Non è in vena di compagnia."
Nemmeno al villaggio, quando Lynn li ha salutati, era in vena di compagnia. Li ha aspettati fuori, sulla strada diretta a nord. Non voleva salutarla, non davanti a tutti. Le aveva detto addio la sera prima. In che modo, solo loro due lo sanno, a prescindere dalle teorie di Vassily. E forse, è anche giusto così.
"Non l'ha presa bene." Mormora Vassily, guardando Lisbeth e Per con qualcosa che pare invidia.
"Non mi stupisce." Dice Riccardo.
Ian voleva combattere, e voleva farlo con Lynn al suo fianco. Gli hanno negato questo diritto. Riccardo prova a pensare a come si sentirebbe, se quella sera gli dicessero che non può salpare. Una prospettiva troppo orribile da contemplare.
"E ora?" Domanda Per.
"Aspettiamo." Riccardo si volta verso Ben. "Perché non ci canti qualcosa, nel frattempo?"
Ben ci pensa su. Intanto raccoglie la chitarra dalla sua custodia e inizia ad accordarla.
"In effetti, ho quello che ci vuole."
Inizia lentamente a suonare.
"Well the sun is setting in the west
and the birds are singing on every tree.
All nature seems inclined for to rest
but still there is no rest for me."

Il tramonto tinge di un colore vermiglio le nubi temporalesche ad occidente. Ci sarebbe stato mare mosso quella sera. Lo ha detto il capitano qualche minuto prima, quando Riccardo è andato a parlarci. Nessun problema. Il mercantile salperà lo stesso, alle sei di quella sera. Farà scalo sulle isole settentrionali. L'Inghilterra, ciò che ne rimane, il suo impero dissolto che prova a far tornare. La Scozia, la sua indipendenza sanguinosa finalmente ottenuta. Forse, una sosta in quella che un tempo chiamavano Irlanda.
"Non ho mai visto nulla di così bello."
Riccardo si volta. Non è più solo, sulla cima della scogliera.
La ragazza è apparsa al suo fianco, dal nulla.
"Se esiste qualcosa di più bello, vale la pena rischiare tutto pur di vederlo."
Gli occhi celesti di lei, occhi stupendi, limpidi come il cielo dopo la pioggia, vagano sul panorama.
"Non tutti i rischi sono accettabili. A volte non vale rinunciare a tutto per avere di più."
"A volte." Mormora lui.
Gli occhi di lei si fermano nei suoi. "Non hai cambiato idea."
"Non avrei mai potuto."
"Nemmeno per noi."
"Non c'è mai stato un noi."
"Tu non hai mai permesso che ci fosse."
Riccardo non risponde.
"Pensavi sempre a come le cose sarebbero dovute andare. Non le hai mai prese per come venivano."
"Forse un giorno cambierò."
"Forse."
"Ma tu non potrai vederlo, in ogni caso."
"Ormai è tardi."
Per qualche secondo è solo il vento a parlare.
"Salperai mai?" Chiede lui.
"Quando sarò pronta. Forse, un giorno."
Silenzio. "Sono contento che tu sia venuta, alla fine."
"Non sarei mai mancata. Non per salutarti." Silenzio. "Addio, Riccardo. Mi mancherai."
Riccardo non si volta. Non prima di qualche minuto. Quando lo fa, se n'è già andata. "Addio, Chloe."

Le vele schioccano, lo scafo rolla e il legno si lamenta per via del carico eccessivo.
Sul pontile sono in sei. Riccardo, da una parte. Ben, Vassily, Per, Lisbeth e Ian dall'altra.
I saluti ci sono già stati. Anche le lacrime e gli abbracci.
"Che altro c'è da dire?" Chiede Vassily con uno strano tono.
"Molto," ammette Riccardo. "ma non ce n'è il tempo. Potrei dirvi tante cose. Mi limiterò a una sola. Siete stati i miei compagni di viaggio. Non saprete mai quanto questo significhi per me. Il vostro ricordo lo porto con me, dove..." Si ferma. Si volta. Dalla nave lo chiamano. Torna a guardare i suoi amici. "Devo andare."
Inizia a salire la passerella.
"Aspetta!" Lo chiama Lisbeth. "Non hai finito quello che stavi dicendo."
Riccardo raggiunge il ponte prima di voltarsi.
"Quello che potevo dire, l'ho detto. Il resto, chiedetelo a Ben."
Nessuno aggiunge nulla . Gli ormeggi sono sciolti, la nave salpa.
Lentamente, gradatamente, la figura di Riccardo, fermo sul ponte con la mano alzata in segno di commiato si allontana, si sfoca, fino a sparire del tutto, sull'orizzonte.
Per qualche minuto sul molo a parlare sono il vento e le onde.
Ian, infine, si schiarisce la gola. "Cosa voleva dire?"
"Sì, Ben, cosa intendeva Riccardo?" Chiede Lisbeth.
Ben non risponde, non subito.
"Lui... Non so come spiegarvelo. Conosco Riccardo da tanto, da molto più di voi. Non sapete, quante volte ha dovuto mentire a se stesso, quante volte è dovuto scendere a patti con i propri sogni, per ottenere questo. E adesso... adesso resto solo io, a cantare per lui, e per quelli che sono già partiti."
"E quindi?" Lo incalza Vassily. "Che vuol dire?"
"Io non sono bravo con le parole. Riccardo lo era. Io... io sono solo un musicista. Tutto quello che so, lo so grazie alle canzoni. E credo che Riccardo... credo che lui si porterà il nostro ricordo dove non ci potrà mai dire. In quel luogo oltre i luoghi dove non basterà il mare."